(Lione 1726-1779)
L’opera, che vinse il primo premio per la prima classe di scultura nel Concorso Clementino del 1750 ex aequo con i rilievi, oggi scomparsi, presentati da Gaspare Sibilla e Alessandro Lippi, documenta il breve soggiorno romano dell’artista lionese. Figlio dello scultore Michel Perrache e allievo probabilmente di Pigalle presso l’Académie Royale de Peinture et de Sculpture, Antoine-Michel Perrache aveva ottenuto il secondo premio di scultura nel 1748, al concorso del Prix de Rome. Divenuto professore di scultura all’École Académique de Dessin di Lione nel 1752, si sarebbe affermato negli anni Settanta soprattutto come architetto e ingegnere, legando il proprio nome alla trasformazione di un quartiere della propria città natale, noto ancora oggi come il “quartiere Perrache”. Il soggetto prescelto per il concorso, indetto dopo dodici anni d’interruzione, è tratto da Tito Livio (Ab urbe condita libri, Lib. 2, 32-40) e costituisce il momento centrale, anche se raramente raffigurato, della storia di Marco Gneo Coriolano, leggendario condottiero della prima Repubblica romana. Rappresentante dell’ala più oltranzista del patriziato romano, che si opponeva ai diritti acquisiti dai plebei con l’istituzione dei tribuni della plebe, Coriolano fu da questi citato in giudizio e condannato all’esilio perpetuo. Recatosi in esilio nella città di Anzio, presso i Volsci, condusse affianco al re Attio Tullo una guerra contro Roma, conquistando con il suo esercito una città dopo l’altra. Accampatosi presso le fosse Cluille, alle porte dell’Urbe, fu raggiunto da un’ambasceria inviata dal Senato romano, composta da cinque ambasciatori capeggiati da Marco Minucio Augurino, il quale perorò con un lungo discorso la causa di Roma, implorando invano la pace. A redimere l’inflessibile Coriolano e farlo desistere dal proposito di distruggere Roma sarebbero intervenute, di lì a poco, la madre Veturia e la moglie Volumnia, accorsa con i due figlioletti in braccio: l’episodio normalmente prescelto, da Poussin a Gaspare Landi, come exemplum virtutis.
Alessandra Imbellone