Cristo caccia i mercanti dal Tempio
Autore
Felice Giani
(San Sebastiano Curone, Alessandria, 1758 - Roma, 1823)
Data
1783
Tecnica
inchiostro, acquarello e biacca su carta
Dimensioni
mm 560 x 760
Inventario
A.526

Con questo rapinoso foglio Felice Giani si aggiudica il secondo premio ex aequo - con Giuseppe Cameron di Valenza - al concorso di pittura del 1783 dell'Accademia di San Luca (dove sarà ammesso nel 1811). Discepolo a Bologna di Ubaldo Gandolfi (dal 1778), l’artista giunge a Roma nel 1780 entrando in contatto conPompeo Batoni, Cristoforo  Unterperger e l’architetto Giovanni Antonio Antolini. Contestualmente studia l’antico e volge la sua attenzione ai pittori nordici della cerchia di Johann Heinrich Füssli, come pure a Giuseppe Cades e ad Angelica Kauffmann. Tali frequentazioni alimentano l’estro dell’artista che nel foglio con Cristo caccia i mercanti dal Tempio consegue un risultato intensamente pittorico dimostrando piena padronanza della tecnica a penna e acquarello. Nella drammatica scena, animata da figure impetuose e solenni, Giani ricorre in particolare “alle fonti del Cinque e Seicento - da Michelangelo a Pellegrino Tibaldi a Pietro da Cortona - puntando a un Neoclassicismo immaginoso che lo avvicina ai contemporanei francesi, da Vien a Peyron a Perrin” (A. Ottani Cavina, Felice Giani (1758 -1823) e la cultura europea di fine secolo, Milano 1999, 2 voll.). Emergono disinvolte citazioni dai Carracci (nel nudo maschile in primo piano) e dal Parmigianino (nella donna di spalle col cesto), mentre la scenografica impaginazione rinvia al dipinto di analogo soggetto di Cecco di Caravaggio allora conservato nella Galleria Giustiniani (oggi nel Museo di Berlino). 

Questa cultura moderna e composita si avverte anche nella tela con Sansone e Dalila (Parma, Pinacoteca nazionale), premiata al concorso dell'Accademia di Parma nel 1784, e nel disegno, dello stesso anno, con Il Genio delle belle arti privilegia la pittura alla presenza degli dei (Roma, collezione privata), prova di gusto dichiaratamente neoclassico, aderente alla poetica di Winckelmann e di Mengs. Poco dopo, nel 1786, Giani raggiunge per la prima volta Faenza, città nella quale si conservano alcuni dei suoi più strabilianti  capolavori nell’ambito della decorazione d’interni. Tra essi spicca l’impresa in palazzo Milzetti (1802-1805) dove progetta l’intero ambiente, reinventando lo spazio architettonico, assieme ai singoli elementi (stucchi, ebanisteria, ornati, arredi) realizzati dai collaboratori su suoi disegni. Sulle volte e sulle pareti l’artista stende, con fare corsivo e compendiario, tempere dai colori vividi e cristallini che illustrano soggetti legati alla destinazione degli spazi: invenzioni magiche e leggere, piene di grazia, ispirate alle case dipinte di Ercolano e di Pompei; un personalissimo ed inconfondibile lessico neoantico che perfeziona poco dopo a Roma nella decorazione dell’appartamento allestito nel palazzo del Quirinale (1812) in previsione della visita (mai avvenuta) di Napoleone. 

Energico e travolgente come il carattere del suo autore, allora venticinquenne, questo disegno segna uno dei momenti iniziali dell’avvincente percorso a ritroso di Felice Giani, figura cruciale nel passaggio tra vecchio e nuovo secolo. 

Pietro Di Natale 

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