(Napoli 1589/1590-1650)
La provenienza del quadro, che compare per la prima volta solo nella guida a stampa della Galleria edita nel 1864, non è al momento nota. Il soggetto, più unico che raro, raffigura – così come indicato anche nella didascalia di una vecchia foto Anderson di fine Ottocento – “S. Girolamo [che] disputa con gli Ebrei”, verosimilmente su questioni legate alla traduzione latina della Bibbia, la principale impresa del santo, condotta a termine intorno al 406. Il consueto titolo attribuito all’opera, secondo cui gli interlocutori del protagonista sarebbero i sadducei, gruppo giudaico già estinto alla fine del primo secolo dell’era volgare, è, per il suo anacronismo, improprio. Inizialmente assegnata a Jusepe de Ribera e poi retrocessa alla sua scuola, la Disputa è stata per lungo tempo inclusa nel corpus del fiammingo Hendrick van Somer (ovvero – correttamente – De Somer), interprete fedele quanto autonomo del maestro spagnolo a Napoli tra il terzo e il sesto decennio del Seicento, finendo – pur senza valide argomentazioni e quasi per inerzia – per diventarne un caposaldo, in un momento in cui tale nome rappresentava un ricettacolo per i più disparati prodotti para-ribereschi. L’opera è certo legata agli esempi del primo Ribera napoletano, e anzi essa appare addirittura più riberesca dei suoi modelli, tanto insistita è l’esibizione del grottesco campionario di rugosi tipi senili, qui non controbilanciata neanche dalla figura del giovinetto imberbe come accade, per esempio, nel Gesù fra i dottori dello Spagnoletto nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, a cui pure la composizione sembra ispirarsi; e tuttavia la spazialità bloccata del dipinto, la sua parlata ancora arcaizzante, l’intensificazione della gamma cromatica e l’attenzione per il valore delle superfici, in particolare per la resa di nitida esattezza ottica dei tessuti damascati, corrispondono senza dubbio al caratteristico marchio di fabbrica messo a punto da Filippo Vitale, uno degli esponenti più antichi e rilevanti del primo naturalismo meridionale. Il percorso di questo pittore, del resto, risulta costantemente sintonizzato (non da ultimo per ragioni commerciali) sui prototipi di Ribera, i quali ben presto dovettero imporsi come dominanti sul mercato artistico napoletano; senza contare poi la parentela, presumibilmente subordinata alle medesime logiche imprenditoriali, stretta da Vitale con un conterraneo e intimo collaboratore dello spagnolo, Juan Dò, che nel 1626 ne sposerà la figliastra Grazia Di Rosa.
Giuseppe Porzio