(Cortona 1597 - Roma 1669)
Raffaello Sanzio aveva affrescato la Galatea nel 1511 su commissione di Agostino Chigi, nella loggia orientale della villa suburbana che il banchiere senese si era fatto costruire oltre Tevere, oggi nota come Villa Farnesina alla Lungara. Le vicende amorose della ninfa erano state narrate da diverse fonti in modi non sempre coincidenti, ma la più diffusa era la versione ovidiana (Metamorfosi, XIII, 738-893) dove l’amore di Galatea per il pastore Aci veniva contrastato da Polifemo, che poi avrebbe ucciso il giovane, il cui sangue sarebbe stato infine trasformato in un fiume. L’affresco di Raffaello non dipendeva però dalla letteratura antica, quanto – come già osservato nel Cinquecento – da una Stanza di Angelo Poliziano, composta nel 1475-78. L’interpretazione più accettata dagli studi è una lettura dell’affresco in chiave neoplatonica: Galatea simboleggia l’anima che tende a Dio, mentre i tritoni e le nereidi sarebbero la rappresentazione del genere umano, diviso tra spirito e passioni sensuali.
La copia realizzata da Pietro da Cortona si rintraccia nella raccolta Sacchetti a partire dal 1639, anno del più antico inventario finora rinvenuto; a quella data la famiglia viveva ancora in affitto a Via dei Banchi vecchi, ma nel giro di dieci anni il cardinale Giulio avrebbe comprato il palazzo Ricci a via Giulia, poco distante, dove i Sacchetti si sarebbero trasferiti con la propria ricca collezione e che da loro avrebbe preso il nome attuale. Con l’eccezione delle due liste più antiche (dove spesso sono assenti i nomi degli artefici), negli inventari Sacchetti la tela è sempre ricordata come copia del Berrettini. Nel 1748 il «[quadro] alto palmi 14 largo palmi 11 rappresentante la Galatea di Raffaello, copiata da Pietro da Cortona» venne incluso tra le opere più pregevoli della collezione romana cedute al pontefice Benedetto XIV per essere destinate alla nascente galleria dei dipinti istituita sul colle capitolino: valutata 150 scudi (decisamente sopra la media degli altri quadri Sacchetti venduti al papa), la Galatea venne inizialmente sistemata, secondo le prime descrizioni della galleria, nella parete d’ingresso della “seconda sala», per essere poi spostata nella parete sinistra del medesimo ambiente dopo l’articolata riformulazione espositiva dei quadri della Pinacoteca in seguito all’arrivo, nel gennaio del 1818, della Pala di santa Petronilla di Guercino. Pochi anni dopo però i quadri con nudi femminili diventarono inappropriati per le sale museali e il 30 settembre 1824 il direttore della Galleria Capitolina, Agostino Tofanelli, poteva comunicare che «in sequela degli ordini ricevuti… ho ritirato sei quadri osceni della sud.ta Galleria, e li ho situati nella Sala vicina destinata agli oggetti riservati»: la copia della Galatea confluì in questo modo nel «gabinetto riservato» da cui sarebbe stata rimossa due decenni più tardi, per essere definitivamente trasferita nelle raccolte dell’Accademia di San Luca.
Se era stato relativamente agevole ricostruire le vicende materiali del dipinto, più complessa (anche se all’interno di margini comunque ristretti) è stata la sua collocazione cronologica. A lungo si era infatti ritenuto – sulla scorta di un celebre brano delle Vite di Giovanni Battista Passeri basato sul casuale incontro tra l’artista e il suo futuro mecenate, il banchiere Marcello Sacchetti, proprio di fronte alla copia della Galatea – di datare l’opera all’inizio del terzo decennio del Seicento, considerandola così una delle prime prove pittoriche dell’artista, che l’avrebbe eseguita all’interno della propria fase formativa, quando l’esercizio sui grandi maestri costituiva una tappa obbligata. Una disamina più attenta ha però permesso di abbandonare questa ipotesi: nessuna delle opere a noi note realizzate da Pietro da Cortona per i Sacchetti - con i quali la consuetudine continuerà a lungo anche dopo la morte di Marcello nel 1629 - può essere datata prima del 1623-24, periodo in cui va fissato, sulla base delle attuali conoscenze, l’inizio dell’interesse per la pittura da parte del banchiere, in seguito affiancato dai fratelli. Il primo dato certo di una connessione tra Marcello e il mondo dell’arte è il verbale di una congregazione dell’Accademia di San Luca del 27 ottobre 1624 (a una settimana di distanza dalla nomina di Simon Vouet a Principe), nel corso della quale Marcello Sacchetti e Pietro da Cortona vennero individuati come rettori di una lezione domenicale.
È quindi verosimile che la copia della Galatea (che sarà saldata all’artista, insieme ad altri quadri, solo dopo la morte di Marcello, il 2 agosto 1630), invece di essere un saggio di bravura di un giovane artista o una copia di studio, sia stato il risultato di una precisa commissione da parte di Marcello Sacchetti, all’interno di un ideale paragone, come banchiere e come mecenate, con Agostino Chigi, di cui occupava il medesimo ruolo di Tesoriere della Chiesa e di cui avrebbe continuato a seguire il percorso ottenendo nel 1626 la «privativa» per lo sfruttamento delle miniere di allume a Tolfa di cui il banchiere senese era stato uno dei primi concessionari.
Sergio Guarino