La cucitrice
Autore
Antonio Mancini
(Roma 1852 – 1930)
Data
1914
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 138,5 x 100
Provenienza
acquisto fondo Müller
Iscrizioni
in basso a destra: A. Mancini / 1914
Inventario
706

Ritenuto uno dei più importanti pittori del suo tempo, Antonio Mancini fu eletto accademico di merito all’Accademia di San Luca il 29 giugno del 1913. I verbali conservati nell’Archivio Storico dell’Accademia rivelano che a proporre tale nomina fu Giulio Aristide Sartorio, in contrasto con le perplessità di Pio Joris, preoccupato da un possibile disinteresse dell’artista nei confronti dell’Accademia (Mancini era infatti noto per la sua personalità difficile e bizzarra, ma anche per la sua ritrosia nei rapporti con le istituzioni). Sartorio intendeva conferire l’incarico a Mancini innanzitutto con l’auspicio di annoverare nell’albo accademico uno degli artisti più apprezzati del momento in Italia e all’estero, ma anche in ragione di un sincero sentimento di stima, che ebbe modo di esplicitare qualche anno più tardi: «se dovessi narrare quali meravigliose opere del Mancini abbia viste in Francia, in Inghilterra, in Olanda, dovrei scrivere un volume. Avevo ventidue anni quando, quarant’anni fa, la prima volta a Parigi, dove Mancini aveva lasciata una scìa, vidi dal Goupil, suocero di Leone Gérome, stupendi dipinti del maestro italiano. Allora, nel mille ottocento ottantadue, Parigi era una fucina ardente di ardente pittura e le opere di Cézanne, Van Gog [sic], Manet, Pissarro, Renoir, Degas eran materia viva e informativa. Fra quella linfa Antonio Mancini aveva tuffata la sua vivacità meridionale avida e conquistatrice» (Guida 1921, p. 20). Per gli stessi motivi Mancini era stato invitato ad esporre nel 1914 alla seconda mostra del gruppo della “Secessione” romana, nonostante la dichiarata volontà del consiglio direttivo di includere perlopiù artisti giovani. Il pittore presentò in quell’occasione La cucitrice, poi acquistata dall’Accademia di San Luca con il fondo Müller. L’opera è da annoverare tra i vertici del periodo frascatano di Mancini, caratterizzato da una pittura estremamente grumosa, in cui le superfici delle tele, impreziosite da inserti materici quali pezzi di vetro e metallo utili a raggiungere ineguagliabili effetti di brillantezza, sembrano imitare il bassorilievo. Dopo il successo all’Esposizione Internazionale di Belle Arti a Valle Giulia del 1911, l’artista si era trasferito da Roma a Frascati su invito del conte Fernand Du Chéne de Vère, il quale, in una sorta di revival di mecenatismo rinascimentale, gli aveva offerto un contratto in cui si assicurava l’esclusiva su tutti i lavori in cambio di un buon salario, vitto, alloggio e un grande studio a Villa Jacobini in cui poter dipingere lontano dal caos della metropoli in espansione. Il contratto fu rinnovato annualmente, anche in ragione del drammatico sopraggiungere della guerra, fino al 1918. Oltre ad una quantità inesauribile di colori e pennelli, Du Chéne de Vère fornì a Mancini costumi antichi e parrucche per acconciare i suoi modelli, indirizzandolo così verso soggetti d’invenzione che rendevano esplicitamente omaggio alla grande figurazione europea dei secoli XXVII e XVIII. Personaggi come menestrelli, paggi e musicanti, ma anche soggetti d’atelier quali La cucitrice, abbondano nella produzione manciniana di questo periodo di isolamento artistico, in cui l’attività di ritrattista su commissione conosce una temporanea battuta d’arresto. 
Tornato a Roma, la sua pittura si fa gradualmente meno materica; la gamma cromatica si riduce a pochi, eleganti accordi cromatici e le forme si disgregano fino a raggiungere quasi l’astrazione. 

Manuel Carrera

 

Bibliografia essenziale
II Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione”, Roma 1914, p. 23, n. 18.
D. Cecchi, Antonio Mancini, Torino 1966, p. 330.
R. Bossaglia, P. Spadini, M. Quesada (a cura di), Secessione romana 1913-1916, Roma 1987, p. 298.

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