Rinaldo e Armida
Autore
Ludovico Gimignani
(Roma 1643 - Zagarolo 1697)
Data
1673 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 73,5 x 97,5
Provenienza
lascito Fabio Rosa 1753
Inventario
222

La bella Armida giace poco vestita sulla terra mentre l’eroe Rinaldo le porge uno specchio simile a quello magico che mostratogli dai due crociati sullo sfondo lo risveglieranno dal sortilegio della maga e lo ricondurranno ai suoi doveri di soldato cristiano. Il brano, famosissimo, è tratto dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso che ha ispirato l’arte di moltissimi pittori con i suoi intrecci sorprendenti e complicati. Il dipinto delle Gallerie dell’Accademia di San Luca, dopo essere stato a lungo conteso tra padre e figlio, ossia tra Giacinto, di cui si conservano numerose opere di soggetto tassesco, e Ludovico Gimignani, è ora stabilmente assegnato al secondo e più giovane pittore, nato a Roma dove il genitore si era trasferito dalla natia Pistoia. L’ipotesi più volte formulata che la tela fosse stata donata in occasione dell’ingresso di Ludovico nella prestigiosa istituzione romana, cozza con gli elementi che la vorrebbero donata assieme a molte altre importati opere d’arte da Fabio Rosa, nel 1753. Comunque sia si tratta di uno dei dipinti più belli del pittore, qui in grado di mostrare tutta la freschezza della sua arte, forgiata a contatto col padre e le sue coordinate artistiche che coinvolgevano il maestro Pietro da Cortona, lo studio dei dipinti di Poussin, ma che non disdegnavano di certo l’insegnamento berniniano, per il tramite del Baciccio, quando il genio di Gian Lorenzo brillava altissimo nel firmamento artistico romano. Meno importante sembra essere stato il ruolo dello zio Alessandro Turchi, morto quando Ludovico aveva circa tre anni, e decisamente più incisivo nei confronti di Giacinto. La fresca e luminosa tavolozza della tela, che basa una notevole parte del suo fascino sul colore, non deve ingannare sulle capacità grafiche del pittore, grande e prolifico disegnatore: anche nel caso del Rinaldo e Armida si conservano diversi fogli alcuni nelle collezioni del Gabinetto Nazionale delle Stampe, a riprova di una genesi dell’opera molto attenta e accurata. Nonostante sia stato svincolato dalla data d’ingresso del pittore in Accademia, il dipinto non sembra cadere troppo lontano da quella data (1673), quando il dotto classicismo del padre si andava aprendo a una pittura più libera e vaporosa e come detto a sperimentazioni coloristiche, frutto anche di un proficuo viaggio d’istruzione al nord, in particolare a Venezia. L’importanza di Ludovico nell’ambiente artistico romano e la protezione dei Rospigliosi gli garantiranno infine la nomina a principe dell’Accademia di San Luca il 21 dicembre del 1687. 

Massimo Francucci

 

Il lascito Fabio Rosa (1753)  Fabio Rosa (1681-1753), eccentrico personaggio nella Roma del primo Settecento, ecclesiastico con la passione dell’arte tramandata dalla famiglia (suo padre, Francesco, fu pittore e accademico di San Luca), decise di lasciare una parte dei suoi beni all’Accademia proprio «in gratitudine per la memoria» del padre. Il lascito che giunse nel 1753 è uno tra i più importanti, per qualità e quantità delle opere, pervenuti in Accademia. Era composto da 180 dipinti, alcuni dei quali nel tempo sono purtroppo andati dispersi. Nel 2017 l’Accademia ha pubblicato, introdotto da un saggio inedito di Geneviève e Olivier Michel, le analisi degli inventari del lascito condotte da Giulia De Marchi che, confrontando i documenti d'archivio, ha saputo ricondurre, nella quasi totalità dei casi, le opere degli elenchi settecenteschi a quelle oggi presenti in Accademia, consentendo così di chiarire questioni sino ad allora irrisolte sulla provenienza e l'attribuzione di molti dipinti. Per approfondire

 

 

La riproduzione digitale del dipinto è stata eseguita con il contributo della Regione Lazio, Direzione Cultura e Lazio Creativo, Area Servizi Culturali e Promozione della lettura, L.R. n. 24/2019, Piano 2022
 

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