(Genova 1639 – Roma 1709)
La tela è confluita nel 1753 nelle collezioni dell’Accademia di san Luca a seguito del lascito di Fabio Rosa, registrata al “n.° 51 Altro in tela di mezza testa per lato con cornice à quattro d’intaglio dorato, rappresentante il Riposo in Egitto, originale di Giovanni Battista Gavulli, detto Baciccio sc. 20” (Accademia Nazionale di San Luca, archivio).
Il dipinto è un bozzetto della pala commissionata dal cardinale Flavio Chigi (1631-1693) per l’altare della sua cappella privata nel Palazzo Chigi ai Santi Apostoli, pagata al Baciccio cento scudi il 16 marzo 1669 (F. Petrucci, Baciccio. Giovan Battista Gaulli 1639-1709, Roma, 2009 , p. 516 n. C1). Quel dipinto, passato nella collezione del principe Agostino Chigi dopo la morte del cardinale, fu ceduto dagli eredi Chigi allo Stato Italiano nel 1918 assieme ad altre opere della raccolta, per confluire presso la Galleria Nazionale d’arte Antica di Palazzo Barberini.
Il bozzetto mostra alcune significative varianti rispetto alla pala, come l’assenza della terminazione centinata, la differente posa di Gesù Bambino, la presenza di un portale ad arco che inquadra lo scorcio di paesaggio ideale sullo sfondo, mentre mancano le tre teste di cherubini in alto. In entrambi i dipinti la figura di San Giuseppe in lontananza, intento a carica la soma di un asino, rende l’iconografia pertinente al tema della fuga in Egitto.
La datazione del bozzetto, certamente anteriore alla pala, la seconda nella prestigiosa carriera del pittore dopo quella della chiesa di San Rocco, è riferibile al 1668 circa. Si tratta pertanto di un’opera giovanile, ancora acerba e intrisa di cultura carraccesca, non insensibile alla suggestione di alcune tele di analogo soggetto del Mola, sebbene già emergano le capacità compositive dell’artista, la sua sensibilità paesaggistica e, soprattutto nella pala, il suo talento coloristico.
Un dipinto di analogo soggetto e dimensioni, sempre mano del Baciccio, era descritto nell’inventario ereditario del cardinale Pietro Ottoboni del 1743, ma era altra cosa trattandosi di un olio su rame (E. Olszewski, The Inventory of Paintings of Cardinal Pietro Ottoboni (1667 - 1740), New York, 2004, p. 94). Una copia di bottega, più vicina al bozzetto che alla pala, è in collezione Gabelli Barattieri a Roma.
Francesco Petrucci
Il lascito Fabio Rosa (1753) Fabio Rosa (1681-1753), eccentrico personaggio nella Roma del primo Settecento, ecclesiastico con la passione dell’arte tramandata dalla famiglia (suo padre, Francesco, fu pittore e accademico di San Luca), decise di lasciare una parte dei suoi beni all’Accademia proprio «in gratitudine per la memoria» del padre. Il lascito che giunse nel 1753 è uno tra i più importanti, per qualità e quantità delle opere, pervenuti in Accademia. Era composto da 180 dipinti, alcuni dei quali nel tempo sono purtroppo andati dispersi. Nel 2017 l’Accademia ha pubblicato, introdotto da un saggio inedito di Geneviève e Olivier Michel, le analisi degli inventari del lascito condotte da Giulia De Marchi che, confrontando i documenti d'archivio, ha saputo ricondurre, nella quasi totalità dei casi, le opere degli elenchi settecenteschi a quelle oggi presenti in Accademia, consentendo così di chiarire questioni sino ad allora irrisolte sulla provenienza e l'attribuzione di molti dipinti. Per approfondire