(Firenze 1503 - 1572)
I due dipinti su tavola, pur pesantemente rimaneggiati e oscurati nei fondi, furono venduti nel 1821 all’Accademia di San Luca dal pittore neoclassico e antiquario Vincenzo Camuccini e fino al restauro del 1985-1987 vennero attribuiti o ad Alessandro Allori o al suo maestro Bronzino, al quale furono infine restituiti (Pontabry 1992; Ventra 2014). Come avrebbe raccontato Giorgio Vasari, di solito ben informato sulle vicende professionali del collega fiorentino, il Bronzino fu inviato a Pisa nel 1550 da Cosimo I de’ Medici per eseguire alcuni ritratti e lì dipinse anche un «quadro di Nostra Donna molto bello» per l’ingegnere Luca Martini, «nel quale ritrasse detto Luca con una cesta di frutte, per essere stato colui ministro e proveditore per lo detto signor duca nella diseccazione de’ paduli et altre acque che tenevano infermo il paese d’intorno a Pisa e conseguentemente per averlo renduto fertile e copioso di frutti»(Vasari 1568). Prima di lasciare la città, ancora secondo l’artista e storiografo aretino, il Bronzino avrebbe ottenuto dall’operaio del duomo Raffaello del Setaiolo, grazie all’intermediazione del Martini, la commissione di una pala per una delle cappelle della cattedrale «nella quale fece Cristo ignudo con la croce et intorno a lui molti santi, fra i quali è un san Bartolomeo scorticato, che pare una vera notomia e un uomo scorticato da dovero, così è naturale et imitato da una notomia con diligenza» (ivi). A convocare a Pisa il Bronzino, in realtà, era stata la duchessa Eleonora di Toledo, che desiderava dal pittore un ritratto del figlio Giovanni, futuro cardinale, da spedire in dono al neoeletto papa Giulio III (L’opera completa del Bronzino 1973). Il contratto per la pala dell’altare della Madonna delle Grazie nel duomo pisano fu siglato dal Martini in nome del Bronzino, con l’operaio Bartolomeo da Forcoli e non con il Raffaello del Setaiolo citato dal Vasari, il 1 febbraio 1554 more florentino, ossia il 1555; il 19 febbraio, da Firenze, l’artista avrebbe sottoscritto l’accordo, dicendosi felice di poter lasciare una sua opera a Pisa e consegnando il dipinto il 21 marzo 1556, anno dell’ultimo pagamento – datato 30 novembre – per il lavoro, costato in totale 160 scudi d’oro (Monaco 2010). Nel contratto era specificata con precisione l’iconografia del quadro, che doveva essere preceduto da un disegno (perduto) e che doveva raffigurare un Cristo portacroce e i sei santi Bartolomeo, Andrea, Giovanni evangelista, Michele arcangelo, Pietro martire e Stefano. Già in precarie condizioni nel 1558, anno in cui fu rimossa dalla sua sede originaria e acquistata dal sensale Valerio Ruggieri, la pala fu poi sostituita da una copia di Aurelio Lomi, distrutta nel grave incendio che devastò il duomo pisano il 25 ottobre 1595 (ivi). Come rivela il pavimento con motivi geometrici nei due pannelli superstiti della pala, ideato per suggerire una fuga prospettica in direzione della tavola con il Cristo portacroce, i sei santi dovevano formare una sorta di esedra intorno alla figura centrale. Se nello scomparto con sant’Andrea, deturpato sul volto da una vistosa caduta della pellicola pittorica, si intravedono una gamba con armatura e una piccola creatura demoniaca relative alla figura di san Michele arcangelo e un frammento del piviale di santo Stefano, in quello con san Bartolomeo, anch’esso deperito sul viso, possono scorgersi l’aquila di san Giovanni evangelista e la tunica domenicana di san Pietro martire. Proprio la figura di san Bartolomeo, l’unica elogiata con enfasi dal Vasari, costituisce una straordinaria prova di virtuosismo da parte del Bronzino (Brock 2002), che attraverso l’impressionante corpo dell’apostolo, sul quale restano ancora brandelli della pelle per lo più a terra sotto il ginocchio destro, avrebbe partecipato al coevo dibattito artistico sulla rappresentazione dell’anatomia umana, cui non sfuggirono le due grandi pale fiorentine del 1552 con la Discesa di Cristo al Limbo (Museo dell’Opera di Santa Croce) e la Resurrezione di Cristo (Santissima Annunziata). La resa scientifica della muscolatura dello scorticato san Bartolomeo appare ispirata ad alcune illustrazioni dei De humani corporis fabrica libri septem di Andrea Vesalio, pubblicati a Basilea nel 1543. E il fatto che tra il 1546 e il 1548 insegnasse all’università di Pisa l’anatomista Realdo Colombo, allievo del Vesalio a Padova, fornisce un indizio che il Bronzino potesse conoscere il celebre trattato dello scienziato fiammingo (Monaco 2010).
Fabrizio Biferali
Bibliografia essenziale
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, 6 voll., Firenze 1967-1984, VI, p. 235.
L’opera completa del Bronzino, introdotta da scritti del pittore e coordinata da E. Baccheschi, Milano 1973, p. 83.
A. Pontabry, Due Allori per un Bronzino. Le tavole con Sant’Andrea e San Bartolomeo dell’Accademia di San Luca a Roma, in “Art e dossier”, VII, 1992, 70, pp. 28-31
M. Brock, Bronzino, Paris 2002, pp. 302-303.
Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, a cura di C. Falciani e A. Natali, catalogo della mostra, Firenze 2010, pp. 310-313-
S. Ventra, Restauri di dipinti nel Novecento. Le posizioni nell’Accademia di San Luca 1931-1958, Roma 2014, pp. 26-27, 77-82.
La riproduzione digitale del dipinto è stata eseguita con il contributo della Regione Lazio, Direzione Cultura e Lazio Creativo, Area Servizi Culturali e Promozione della lettura, L.R. n. 24/2019, Piano 2022