Santa Cecilia spirante
Autore
Andrea Pozzi
(Roma 1775-1837)
Data
1805
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 99 x 74
Inventario
385

Nipote del celebre Stefano Pozzi, figlio dell’incisore Francesco e tirocinante presso Stefano Tofanelli, pittore lucchese attivo a Roma, Andrea Pozzi presentò il dipinto qui esposto in occasione della propria ammissione (1805) all’Accademia di San Luca, nella quale aveva frequentato i corsi della scuola del Nudo e si era aggiudicato alcuni premi (1794, 1799, 1800). Tra il 1813 e il 1815 partecipò alle principali imprese decorative della Roma napoleonica: quelle del Palazzo del Quirinale e di Palazzo Torlonia a piazza Venezia. In questi anni Antonio Canova - anche per il tramite del suo segretario Antonio d’Este, suocero di Andrea dal 1814 - acquista consapevolezza e stima delle sue qualità: nel 1813, sotto la sua direzione, delinea i disegni per le incisioni di Pietro Fontana con i busti di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte (ritratti eseguiti da Canova nello stesso anno a Napoli) destinate al frontespizio dei Fasti del Regno di Gioacchino Napoleone del poeta Angelo Maria Ricci; più tardi, sempre su richiesta di Canova, Andrea esegue la pala con Santo Stefano dopo il martirio (1816-1822) per un’altare del Pantheon (oggi Roma, Musei Vaticani). In quest’opera, polita e brillante come uno smalto, l’artista, pur adottando schemi compositivi settecenteschi, esibisce un linguaggio rigoroso ed essenziale, di gusto neoclassico, nutrito da Raffaello e dal Garofalo ferrarese. Al successo del Santo Stefano sono legate le successive, e affini, opere di tema sacro, come le pale per le chiese di Camerino (1829) e di Capranica (1830) e la Presentazione della Vergine per il convento delle Orsoline di New Orleans (1832, già New Orleans, Neal Auction Company, 4 aprile 2004, lotto 885). Il prestigio goduto lo portò ad essere eletto Presidente dell’Accademia di San Luca nel biennio 1830-1831.

Come notava Anna Valeria Jervis (A.V. JervisAndrea Pozzi. Il percorso di un pittore accademico nel primo Ottocento, in “Studi di Storia dell’Arte”5-61994-1995pp. 249-284), nella giovanile, e delicatissima, Santa Cecilia spirante Pozzi manifesta “un modo squisitamente neoclassico di intendere l’Antico: ciò che interessa è la storicità dell’evento, il contesto romano, e dunque classico, della martire cristiana, attraverso la citazione, nella posa del corpo colto nell’istante che passa tra l’agonia e l’abbandono della morte, di sculture classiche come la Cleopatra dei Musei Vaticani o, ancor più fedelmente, il Pasquino”. La riflessione sulla pittura romana settecentesca e sugli esempi di Tofanelli si coglie “nella stesura pittorica compatta, quasi levigata; nella ricchezza e morbidezza dei panneggi ancor esenti, pur nella semplicità, dall’estrema severità disegnata delle opere tarde; nella luce laterale vòlta a far risaltare le forme chiare della figura protagonista o nella fisionomia stessa del suo viso”. Nella raccolta dell’Accademia, oltre alla Santa Cecilia, si conservano due ritratti di Pozzi che documentano i ricordati legami con l’ambito canoviano: uno del suocero, lo scultore Antonio D’Este, effigiato accanto ad un’erma con il profilo di Canova, l’altro del figlio di questi, Alessandro D’Este, nominato accademico nel 1810; opere cui si accosta il ritratto, di taglio analogo, di Domenico Manera (Asolo, Museo Civico), cugino dello scultore di Possagno. 

Pietro Di Natale 

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