Veduta del porto di Ripa Grande
Autore
Gaspare Vanvitelli (Caspar Adriaensz van Wittel)
(Amersfoort 1653 – Roma 1736)
Data
1680-1690 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 48,5 x 98
Provenienza
lascito Fabio Rosa 1753
Inventario
312

Giunto a Roma probabilmente nel 1674 – il primo documento certo è del 3 gennaio 1675 – il pittore olandese Caspar Adriaensz van Wittel (conosciuto in Italia come Gaspare Vanvitelli) ebbe la sua formazione in patria presso Matthias Withoos dedicandosi, tra l’altro, a disegni di carattere topografico. Infatti, il suo iniziale incarico nell’Urbe fu quello di affiancare l’ingegnere olandese Cornelius Meyer, che progettava la navigabilità dei fiumi, come disegnatore e topografo. Almeno dal 1680 van Wittel inizia la sua fortunata carriera di vedutista, eleggendo la Roma contemporanea a principale protagonista della sua produzione, caratterizzata dall’uso sistematico di disegni preparatori di grandi dimensioni e dall’esecuzione di numerose repliche. Tra i suoi committenti il viceré di Napoli e le più importanti famiglie aristocratiche romane, tra cui i Colonna e i Sacchetti. Collezionarono le sue opere antiquari inglesi come Lord Burlington e Thomas Coke. La fama di pittore del “vero” (N. Pio) gli venne riconosciuta anche in ambito accademico, tanto che nella congregazione dell’Accademia di San Luca del 25 maggio 1711, presentato dal principe Carlo Maratti, venne eletto membro di merito. Partecipò attivamente alla vita dell’istituzione, ricoprendo varie cariche: di “festarolo” (1712); “curatore dei forestieri” (1713, 1715, 1721, 1726); “custode degli studi” (1720); maestro di prospettiva assieme a G. Mengozzi Colonna (1725). 

Questa veduta, datata tra gli anni ’80 e ’90 del Seicento, entrò nel 1753 nelle collezioni accademiche a seguito del lascito testamentario di Fabio Rosa, assieme al pendant, raffigurante la Veduta dell’Aniene prima della cascata. Il Tevere è rappresentato nel tratto estremo del suo corso all’interno della città: in primo piano la popolata via Marmorata che costeggia il colle Aventino e le rovine di Roma, tra cui il tempio di Ercole e quello di Portuno, prossimi al porto tiberino. Fulcro della composizione è il porto di Ripa Grande, riconoscibile dalle rampe e dall’edificio della Dogana, affiancati dal giardino e dalla palazzina Pamphilj, entrambi distrutti in seguito per la costruzione del collegio di San Michele e degli argini del Lungotevere. In primo piano l’artista raffigura le attività collegate alle operazioni fluviali, l’approdo e lo scarico delle merci. Documento topograficamente corretto, come testimonia il confronto con le piante sei e settecentesche della città, la veduta si distingue come una delle opere di maggior impegno dell’artista (G. Briganti). 

Marica Marzinotto

 

Il lascito Fabio Rosa (1753)  Fabio Rosa (1681-1753), eccentrico personaggio nella Roma del primo Settecento, ecclesiastico con la passione dell’arte tramandata dalla famiglia (suo padre, Francesco, fu pittore e accademico di San Luca), decise di lasciare una parte dei suoi beni all’Accademia proprio «in gratitudine per la memoria» del padre. Il lascito che giunse nel 1753 è uno tra i più importanti, per qualità e quantità delle opere, pervenuti in Accademia. Era composto da 180 dipinti, alcuni dei quali nel tempo sono purtroppo andati dispersi. Nel 2017 l’Accademia ha pubblicato, introdotto da un saggio inedito di Geneviève e Olivier Michel, le analisi degli inventari del lascito condotte da Giulia De Marchi che, confrontando i documenti d'archivio, ha saputo ricondurre, nella quasi totalità dei casi, le opere degli elenchi settecenteschi a quelle oggi presenti in Accademia, consentendo così di chiarire questioni sino ad allora irrisolte sulla provenienza e l'attribuzione di molti dipinti. Per approfondire

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