Venere e Amore
Autore
Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino
(Cento 1591 - Bologna 1666)
Data
1632
Tecnica
pittura murale riportata su tela
Dimensioni
cm 175 x 170
Provenienza
dalla Pinacoteca Capitolina, 1836
Inventario
430
Restauri
2014-2015

Nella Felsina Pittrice (1678) Malvasia ricorda che nel 1632 Giovanni Francesco Barbieri “dipinse una Venere a fresco” nella villa “La Giovannina” di proprietà del conte Filippo Maria Aldrovandi. Questi fece decorare la residenza, o meglio il castello, poco distante da Cento, in seguito al suo matrimonio con Isabella Pepoli (1617). Venere e Amore si trovava sul camino nella stanza con Storie di Clorinda dove, tuttora, è visibile una sua copia di Giuseppe Rondelli. Stappata dal muro attorno al 1786 e trasportata nella dimora bolognese della famiglia, l’opera fu poi donata a papa Gregorio XVI; dalla Pinacoteca Capitolina approdò infine all’Accademia di San Luca nel 1836. Non essendo registrata nel Libro dei conti del maestro centese, fu probabilmente un regalo destinato a Filippo Maria Aldrovandi, con il quale il Guercino intrattenne anche un rapporto amicale (quando nel 1642 si trasferì a Bologna assieme ai suoi parenti fu proprio il conte a fornirgli la prima ospitalità). 
Si tratta del suo ultimo dipinto murale conosciuto, eseguito con una base a fresco, rifinita a calce e terminata con stesure a secco. Guercino fu del resto un “frescante riluttante” (Stone) e preferì adottare sulle pareti, sin dalle prove giovanili (fregio in Casa Pannini a Cento, 1615-1617), una tecnica mista che gli consentiva di apportare modifiche in corso d’opera. A “buon fresco” eseguì l’impegnativa decorazione del tamburo e della cupola della cattedrale di Piacenza (1626-1627, ove pure intervenne con ritocchi a tempera), ma, qualche anno dopo, sul soffitto di Casa Sampieri a Bologna (Ercole in lotta con Anteo, 1631), tornò a dipingere a secco, come aveva fatto negli anni romani (decorazioni in Casino Ludovisi, palazzo Costaguti e palazzo Lacellotti, 1621).
Il dipinto con Venere e Amore si pone in chiusura del cosiddetto “periodo di transizione” del Guercino (1623-1632), ovvero di quella fase di progressivo mutamento in direzione di uno stile meno “barocco” e più “classico”. Entro un paesaggio, la dea, seduta a terra e appoggiata a preziosi cuscini, volge lo sguardo ad Amore che, in volo, dopo aver infilzato sull’albero il cuore infiammato, sta per levare un secondo dardo dalla sua faretra. Si avverte ancora la fattura robusta e il colore intenso del primo, impetuoso Guercino, mentre la ricerca di un maggiore senso di equilibrio e compostezza indica la sua adesione agli ideali classicisti della pittura emiliana, che si manifesterà in maniera compiuta nelle prove successive (caratterizzate, dalla seconda metà degli anni quaranta, da un cromatismo attenuato e da una stesura più leggera). Ma la discinta figura di Venere, seppur idealizzata, rimane umana, carnale: anche più tardi, infatti, quando prenderà il posto di Guido Reni come primo pittore di Bologna, Guercino non percorrerà mai i sentieri di raffinata astrazione da lui esplorati ma rimarrà saldamente legato al nostro mondo reale. 

Pietro Di Natale 

Bibliografia essenziale
L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, p. 537.
D. M. Stone, Guercino. Catalogo completo, Firenze 1991, pp. 154-155.
Guercino 1591-1666 Capolavori da Cento e da Roma, a cura di R. Vodret e F. Gozzi, catalogo della mostra (Roma), Firenze 2011 , p. 170 (M. Del Monte)
Guercino. La luce del Barocco/Guercino. Svjetlo baroka, catalogo della mostra (Zagabria), Roma, 2014, pp. 22-24, 104-105 (F. Gozzi).
Aperti per restauri: Il restauro di Venere e Amore del Guercino e dell’Allegoria della Fortuna di Guido Reni, a cura di P. Baldi, F. Jatta, L. Cibrario, Roma 2015 .

Accademici correlati
condividi