(Anversa 1599 - Londra 1641)
La consueta iconografia della Madonna col Bambino affiancati dai angeli musicanti si complica in quest’occasione per la presenza in basso del globo e del serpente, chiara allusione al mistero dell’Immacolata concezione e dunque della vittoria sul peccato originale.
Il dipinto fu donato alle collezioni accademiche da Domenico Pellegrini nel 1838, come testimoniato da una iscrizione sul retro, che inoltre lo dice proveniente dalle collezioni reali italiane e dipinto da Van Dyck nel corso del suo soggiorno genovese. Ad accompagnarlo era poi un disegno, una copia fedele di altissima qualità, originariamente dietro alla tela, recante una firma ritenuta da alcuni studiosi apocrifa. È noto che il pittore di Anversa, dopo un primo apprendistato presso la bottega di Rubens, dal quale fu definito il suo miglior allievo, e avendo dunque conseguito una certa notorietà, iniziò a viaggiare per l’Europa, portandosi prima in Inghilterra e poi, come di consueto per i pittori fiamminghi, in Italia per un viaggio di istruzione. Come il suo maestro, rimase folgorato dalla pittura veneta, in particolare dal colore di Tiziano, mentre nel corso di un lungo e fruttuoso soggiorno genovese Van Dyck poté affinare la propria propensione al ritratto che divenne il suo genere di elezione in particolar modo una volta tornato in Inghilterra.
Il soggetto del dipinto è lo stesso descritto elogiativamente in un passo di Giovanni Pietro Bellori nel quale si legge: “Bello è insieme il quadro della Vergine fra due Angeli, che suonano, reggendo il bambino, il quale con la pianta del piede calca il globo del mondo” (p. 262). La presenza di numerose redazioni tutte provenienti dall’alacre fucina del pittore fiammingo ha però impedito di identificare in modo univoco la tela autografa con quella donata da Domenico Pellegrini, sebbene gli studiosi abbiano riconosciuto in questa e nella tela della Norton Museum of Art di West Palm Beach (FL), le versioni più nobili, mentre altre possono essere rintracciate presso la Yale University Gallery, la Chiesa Episcopale di La Jolla in California, cui andrà aggiunto il lotto 55 presentato all’asta Parcket Bennet di New York nel febbraio del 1955.
Dopo un restauro che ha liberato la tela da una spessa ridipintura ottocentesca, Erik Larsen ha identificato il dipinto esposto con l’originale di Van Dyck, un giudizio però non pienamente accettato dalla monografia più recente sul pittore (2004), scritta a più mani, in cui nel riconoscere l’altissima qualità di alcuni passaggi pittorici si proponeva al contempo di ridurre sia il dipinto romano che la tela in collezione americana a belle derivazioni da un’originale non ancora rintracciato, da identificare ‘probabilmente’ con quello offerto nel 1645 dal mercante Matthijs Musson alla principessa Amalia Van Solms, rigettando la questione nelle nebbie.
La presenza di un’incisione realizzata ad Anversa è uno degli elementi che ha contribuito a far propendere per un’esecuzione sì influenzata dalla pittura italiana, ma realizzata nel corso del secondo soggiorno di Van Dyck nella città natale, ossia non troppo dopo il 1627, anche se non mancano le proposte in favore di un’esecuzione a Genova sulla base della vicinanza con la pala di Santa Rosalia, licenziata dal pittore fiammingo per Palermo.
Il disegno, reso più leggibile da un recente intervento conservativo, è stato con troppa sufficienza ritenuto una replica tarda, anche perché in relazione alle lievi differenze che si riscontrano tra i due dipinti migliori del soggetto, il foglio vi si pone a metà strada tra le due versioni migliori dei dipinti, richiamandosi in maniera abbastanza evidente alla tela in collezione americana per ciò che riguarda il panneggio. Sembra necessario a tal punto ricordare che l’invenzione fu diffusa da un’incisione di Pieter de Bailliu, stranamente senza il serpente, simbolo del peccato originale.
Detto questo, il disegno, quadrettato, andrà rivalutato nella sua precisione di segno e nella freschezza di tratto, quale possibile autografo.
Bibliografia essenziale
L’Accademia Nazionale di San Luca, Roma 1974, pp. 104-108.
L’opera completa di Van Dyck (1599-1641) 1629-1641, a cura di E. Larsen, Milano 1980, pp. 90-91, n. 555.
E. Larsen, The paintings of Anthony Van Dyck, 2 voll., Düsseldorf 1988, II, p. 261, n. 369.
S. J. Barnes, N. De Poorter, O. Millar, H. Vey, Van Dyck. A complete catalogue of the paintings, New Haven, London 2004, p. 399 III.A4.