(Piacenza 1691-Roma 1765)
Giovanni Paolo Panini, originario di Piacenza, si formò sull’opera dei celebri maestri quadraturisti e creatori di capricci architettonici attivi in zona emiliana, come i pittori, architetti e scenografi Francesco Galli da Bibbiena (1659–1739) e Ferdinando Galli da Bibbiena (1657–1743), o Giovan Battista Galluzzi (1675-1735). Sappiamo dalle Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni di Lione Pascoli che, al suo arrivo a Roma nel 1711, Panini era già un «insigne pittore di prospettive, paesi, e d’architetture» (Pascoli 1730-36, p. 233), ma che scelse comunque di completare la propria formazione come pittore di storia presso la bottega dell’affermato maestro Benedetto Luti (1666-1724). Nel 1719 l’artista piacentino fu ammesso tra i membri dell’Accademia di San Luca, dove assunse l’incarico di insegnante di prospettiva. Fu inoltre molto legato al prestigioso circuito della committenza francese, anche grazie al matrimonio, nel 1724, con Caterina Gosset, cognata del pittore Nicolas Vleughels che proprio in quello stesso anno veniva nominato direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Il sodalizio tra i due è stato infatti riconosciuto dagli studi come foriero di nuove riflessioni per l’artista piacentino e riguardò anche l’attività di stimatore di dipinti antichi (Arisi, 1986, pp. 204, 208), fino ad essere accolto nel 1732 nell’Accademia di Francia, dove fu chiamato a tenere lezioni di ottica.
L’iscrizione sul masso in basso a sinistra ne L’Archeologo attesta l’esecuzione nel 1749 di questo dipinto e del suo pendant, raffigurante la Predica di un apostolo. Le due tele di forma ovale, dotate di preziose cornici dorate, entrano a far parte delle raccolte accademiche tramite il lascito del collezionista Fabio Rosa nel 1753 (De Marchi 2017, pp. 293, 300). A queste date Panini era ormai un artista affermato e un membro influente della storica istituzione romana, di cui verrà eletto principe nel 1755.
Protagonista della scena ritratta nel dipinto è la figura vestita di bianco, interpretata come un archeologo intento a illustrare un rilievo antico a tre amatori, caratterizzati da turbanti colorati secondo la moda orientalista diffusa al tempo. Il marmo su cui si concentrano gli sguardi è modellato sul Trionfo di Tito ancora in opera nel fornice dell’arco dedicato all’imperatore nel Foro Romano. Abile pittore di architetture e copista dall’antico, l’artista inserisce altri riferimenti a monumenti reali: al tempio della Sibilla a Tivoli (sullo sfondo); al celebre Vaso Medici ora al Louvre (sulla sinistra), dando prova della sua straordinaria capacità di rielaborare in nuove invenzioni di insieme i repertori della cultura antiquaria settecentesca. Le figure, cui si aggiungono la popolana seduta con un bambino in braccio sulla destra e il pastore seminudo accompagnato da un cane a sinistra, sono collocate in un paesaggio tipicamente romano, caratterizzato dalla commistione di elementi naturali e di resti dell’antichità classica. Panini evoca così le reali perlustrazioni dei viaggiatori dell’epoca del Grand Tour, congiungendo, in opere come questa, le sue doti di sapiente cronista per immagini con quelle di inventore di scenari antichizzanti. Questa sua abilità nel rielaborare e connettere tra loro pezzi antichi realmente esistenti e invenzioni ispirate alle forme della classicità gli conferisce un riconosciuto primato nel genere del «capriccio», molto di moda nel Settecento romano e molto gradito ai grandturisti, che usavano commissionare o acquistare dipinti di questo genere come souvenir.
Ginevra Filippi
Bibliografia essenziale
V. Golzio, Seicento e Settecento, Torino 1950, pp. 734-736.
F. Arisi, Gian Paolo Panini e i fasti della Roma del Settecento, Roma 1986, p. 388.
Accademia Nazionale di San Luca, Roma 1974, p. 190 (S. Susinno).
G. Sestieri, La pittura del Settecento, Torino 1988, p. 44.
F. Arisi, Gian Paolo Panini 1691-1765, Milano 1993, catt. 44, 45, pp. 166-167.
Gian Paolo Panini. Opere in mostra dall’Accademia di San Luca e dall’Hermitage. I disegni della Passerini Landi, catalogo della mostra, Piacenza 2001, pp. 21-23 (A. Cipriani).
Il Settecento a Roma, a cura di A. Lo Bianco, catalogo della mostra (Roma), Cinisello Balsamo 2005, cat. 146, p. 249 (L. Laureati).
Roma e l’antico: realtà e visione nel ‘700, a cura di C. Brook, V. Curzi, catalogo della mostra (Roma), Milano 2010, cat. II.1, pp. 392-393 (P. Coen).
Da Raffaello a Balla. Capolavori dell’Accademia Nazionale di San Luca, catalogo della mostra (Bard 2017- 2018) a cura di V. Sgarbi, Bard (AO) 2017, p. 156 (S. Ventra).
G. De Marchi, Fabio Rosa benefattore dell’Accademia di San Luca: in ricordo di Olivier Michel accademico benemerito, in «Accademia Nazionale di San Luca. Annali delle Arti e degli Archivi. Pittura, Scultura, Architettura», 3, 2017, pp. 285-330.
Il lascito Fabio Rosa (1753) Fabio Rosa (1681-1753), eccentrico personaggio nella Roma del primo Settecento, ecclesiastico con la passione dell’arte tramandata dalla famiglia (suo padre, Francesco, fu pittore e accademico di San Luca), decise di lasciare una parte dei suoi beni all’Accademia proprio «in gratitudine per la memoria» del padre. Il lascito che giunse nel 1753 è uno tra i più importanti, per qualità e quantità delle opere, pervenuti in Accademia. Era composto da 180 dipinti, alcuni dei quali nel tempo sono purtroppo andati dispersi. Nel 2017 l’Accademia ha pubblicato, introdotto da un saggio inedito di Geneviève e Olivier Michel, le analisi degli inventari del lascito condotte da Giulia De Marchi che, confrontando i documenti d'archivio, ha saputo ricondurre, nella quasi totalità dei casi, le opere degli elenchi settecenteschi a quelle oggi presenti in Accademia, consentendo così di chiarire questioni sino ad allora irrisolte sulla provenienza e l'attribuzione di molti dipinti. Per approfondire