Martirio di santa Martina
Autore
Pietro Berrettini, detto da Cortona
(Cortona 1597 - Roma 1669)
Data
1660 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 216 x 158
Provenienza
lascito Fabio Rosa 1753
Inventario
1066

Il Martirio di santa Martina, oggi di nuovo leggibile dopo il restauro, appartiene all’ultimo periodo della carriera di Pietro da Cortona. L’artista era stato incaricato dall’Accademia di San Luca di realizzare un nuovo edificio sacro, sul sito dell’antica Santa Martina, alle pendici del Campidoglio romano e in prossimità del Foro, alla quale era stato aggiunto il titolo di San Luca dopo la distruzione della chiesa accademica dedicata all’evangelista, andata distrutta. Nel corso dei lavori, Pietro realizzò il suo desiderio di rintracciare il corpo della santa (25 ottobre 1634), una circostanza che lo avrebbe segnato per il resto della sua vita, come provano la dedizione con cui si dedicò alla chiesa, le varie versioni della tela con la Vergine con il Bambino e santa Martina e il fatto, non comune, di aver nominato proprio la santa come propria erede testamentaria, una scelta che portò a una causa giudiziaria secolare. La tela con il Martirio di santa Martina (su cui si veda il recente intervento di Fidanza, anche per il documento sulla visita apostolica del 1650), dove sembra evidente l’intervento della bottega al fianco del maestro, è da mettere ovviamente a confronto con l’omologo dipinto, autografo e più articolato, della cappella Bandineli della chiesa senese di San Francesco, realizzato da Pietro da Cortona su commissione di Vincenzo Bandinelli, eletto cardinale in pectore da papa Alessandro VII nel 1658 e pubblicato solo il 5 aprile 1650. Lo stesso prelato, il 6 febbraio 1650, aveva accompagnato il cardinale Giulio Rospigliosi nella visita apostolica alla chiesa, dove l’altare maggiore era stato temporaneamente adornato proprio con il Martirio di santa Martina qui esaminato: non si può escludere che il percorso sia stato inverso e che la circostanza della visita sia stata per il prelato l’occasione per commissionare all’artista, in vista della notizia pubblica del suo cardinalato, una versione più suntuosa del dipinto romano.

Sergio Guarino

 

 

Il lascito Fabio Rosa (1753)  Fabio Rosa (1681-1753), eccentrico personaggio nella Roma del primo Settecento, ecclesiastico con la passione dell’arte tramandata dalla famiglia (suo padre, Francesco, fu pittore e accademico di San Luca), decise di lasciare una parte dei suoi beni all’Accademia proprio «in gratitudine per la memoria» del padre. Il lascito che giunse nel 1753 è uno tra i più importanti, per qualità e quantità delle opere, pervenuti in Accademia. Era composto da 180 dipinti, alcuni dei quali nel tempo sono purtroppo andati dispersi. Nel 2017 l’Accademia ha pubblicato, introdotto da un saggio inedito di Geneviève e Olivier Michel, le analisi degli inventari del lascito condotte da Giulia De Marchi che, confrontando i documenti d'archivio, ha saputo ricondurre, nella quasi totalità dei casi, le opere degli elenchi settecenteschi a quelle oggi presenti in Accademia, consentendo così di chiarire questioni sino ad allora irrisolte sulla provenienza e l'attribuzione di molti dipinti. Per approfondire

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