San Luca dipinge la Vergine in presenza di Raffaello
Autore
Raffaello Sanzio (attr.)
(Urbino 1483 - Roma 1520)
Data
XVI sec.
Tecnica
olio su tavola trasportato su tela
Dimensioni
cm 216 x 160
Inventario
283

La pala raffigurante san Luca che ritrae la Vergine, attestata almeno dalla metà degli anni Ottanta del Cinquecento sull’altare della chiesa di San Luca all’Esquilino (Salvagni 2009, pp. 80-81), prima sede della Compagnia dei pittori, è l’icona simbolo dell’Accademia di San Luca. Il dipinto raffigura il santo patrono dei pittori, Luca, intento a ritrarre la Madonna, che gli appare sull’estrema sinistra della composizione con in braccio il Bambino. A destra, in primo piano, il bue, attributo del santo, assiste alla scena, mentre in secondo piano compare la figura di Raffaello, stante, di tre quarti verso sinistra, con lo sguardo rivolto alla tavola su cui il santo sta dipingendo l’apparizione. 
Secondo la leggenda, l’evangelista Luca sarebbe stato il primo uomo a ritrarre le sembianze di Maria, per questo è spesso rappresentato con attributi legati alla pittura. Questa immagine è stata intesa dagli artisti fin dal medioevo anche come strumento per affermare che la propria professione apparteneva alle arti liberali e non a quelle meccaniche, in particolare nel mondo nord-europeo. Nei territori italiani la diffusione dell’iconografia si data al Cinquecento ed è indicativo che un’associazione come quella degli artisti romani scegliesse questo soggetto per il dipinto da porre sull’altare della propria chiesa. Nell’Accademia romana si inseriva però una variante fondamentale: il ritratto di Raffaello. Questo significava, di fatto, stabilire il primato dell’artista come modello per chi intraprendeva la professione artistica, un fatto che probabilmente va interpretato anche in risposta a quanto accaduto a firenze negli anni Sessanta del XVI secolo, dove il celebre pittore e biografo degli artisti Giorgio Vasari aveva curato il progetto di decorazione della Cappella di San Luca nella chiesa della Santissima Annunziata, concessa all’Accademia fiorentina del Disegno da Cosimo I de’ Medici, costruendo un programma decorativo mirato a esaltare Michelangelo e la sua scuola, che culminava con l’affresco, da lui stesso realizzato, raffigurante proprio San Luca che dipinge la Vergine (S. Ventra in Raffaello. L’Accademia di San Luca e il mito dell’Urbinate 2020, pp. 31-35). 
Come è noto, il dipinto dell’Accademia è tradizionalmente attribuito a Raffaello, benché sussistano fin dall’Ottocento dubbi in merito all’autenticità (Ricci 1920), ma anche strenue difese dell’autografia (Ferino Padgen 1990, pp. 182-189). Le fonti seicentesche indicano nei pittori accademici Federico Zuccari e Scipione Pulzone i personaggi coinvolti nella messa in opera della pala: il primo avrebbe commissionato al secondo un restauro che avrebbe generato un’irrimediabile frattura tra i due per via della firma apposta da Scipione su un cartiglio inserito nella pala al termine dell’intervento, poi rimosso furiosamente da Zuccari (Baglione 1642, pp. 122-126; cfr. Pupillo 2015, pp. 71-76; Ventra 2015, pp. 169-170). Nel corso del restauro condotto sulla pala da Giovanni Pileri nel 1858, fu effettivamente rinvenuto un cartiglio, ancora visibile nelle fotografie di inizio Novecento.
Due diverse tradizioni sulla provenienza del dipinto convivono nella storia dell’Accademia, alternandosi o sovrapponendosi nel corso dei secoli: una vuole che il dipinto sia stato donato da Raffaello in persona alla Compagnia dei pittori; l’altra che il dipinto sia stato un dono di Federico Zuccari (cfr. Ventra 2015). Ancora una volta il nome dell’artista, primo principe dell’istituzione dopo la rifondazione operata nel 1595, si lega alle origini della presenza della pala in Accademia, anche per questo gli studi hanno proposto in modo molto suggestivo di interpretare l’opera come un falso d’autore realizzato in quell’ambito (Waźbiński 1985). Pare assolutamente plausibile credere che Pulzone e Zuccari, portatori di una cultura profondamente intrisa del modello raffaellesco, volessero incidere sul contesto artistico romano indicando nell’Urbinate una via da seguire per le generazioni successive. Non si tratterebbe della fabbricazione di un falso tout court, bensì di un’operazione erudita al servizio di una strategia che intendeva segnare i destini della storia dell’arte a Roma, indicando in Raffaello il modello supremo all’interno di un’istituzione in cui i giovani artisti venivano formati. Anche la composizione del dipinto, centrata intorno alla mano del santo, riconduce alle teorie di Zuccari sulla «Idea», scintilla instillata da Dio nella mente dell’artista e trasposta nella realtà materiale proprio attraverso la mano (Zuccari 1607). 
La tavola, trasportata su tela una prima volta nel 1885, non consente valutazioni di tipo stilistico per via della travagliata storia conservativa di cui è stata oggetto e nemmeno le indagini diagnostiche cui è stata sottoposta recentemente hanno condotto a conclusioni certe (Cardinali 2015; De Ruggieri 2015). Numerosi e ripetuti interventi di conservazione e di restauro hanno contraddistinto la vita dell’opera, coinvolgendo nel corso dei secoli i maggiori artisti accademici (da Fabrizio Chiari, a Filippo Lauri, a Carlo Maratti, a Vincenzo Camuccini, a Nicola Consoni) e i maggiori restauratori attivi a Roma tra Ottocento e Novecento (da Giovanni Pileri, a Pietro Cecconi Principi, ad Augusto Vermehren, a Pico Cellini). Tutto questo accadeva per la preoccupazione costante, da parte dell’Accademia, di salvare la propria icona dalla rovina causata dal tempo e dal forte tasso di umidità presente nella chiesa dei Santi Luca e Martina, dove questa passò dopo la distruzione sistina di San Luca all’Esquilino e l’assegnazione della nuova chiesa agli artisti. Qui, dal 1623 fino al tardo Settecento, si alternò, sull’altare maggiore, con la celebre copia realizzata da Antiveduto Gramatica su commissione dei colleghi. 
Oggi il dipinto si mostra per come lo ha consegnato Pico Cellini dopo l’ultimo, complesso restauro terminato nel 1958. In quell’occasione, per la prima volta il restauratore scelse di non utilizzare la copia di Antiveduto come modello per le reintegrazioni pittoriche, prassi consolidata nella storia conservativa delle due opere (Ventra 2014). Si deve probabilmente a questo scarto la differenza tra il colore rosa del manto della figura di Raffaello nella pala ‘originale’, e l’azzurro del manto della medesima figura nella copia seicentesca. È probabile che un colore rosa fosse stato usato dall’autore cinquecentesco come preparazione per la stesura dell’azzurro, osservato e replicato da Antiveduto a suo tempo ma poi scomparso a causa delle ripetute puliture. Cellini, che intendeva rispettare il più possibile la materia originale, probabilmente non se la sentì di intervenire sovrapponendo una diversa cromia per uniformare il dipinto alla sua copia. 

                                                                                  Stefania Ventra

 

Bibliografia essenziale
M. Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823, pp. XIV-XVI.
F. Cavalleri, La tavola del San Luca, insigne opera di Raffaello restituita al suo splendore nella galleria della Pontificia Accademia Romana delle Belle Arti…, Roma 1858.
A.J. Crowe, G.B. Cavalcaselle, Raffaello. La sua vita e le sue opere, Firenze 1890, III, pp. 400-401.
C. Ricci, Raffaello nel IV centenario dalla sua morte, Milano 1920, p. 121.
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S. Ferino Padgen, From cult images to the cult of images: the case of Raphael's altarpieces, in The Altarpieces in the Renaissance, a cura di P. Humfrey, M. Kemp, Cambridge 1990, pp. 165-189.
K. Oberhuber, Raffaello. L’opera pittorica, Milano 1999, p. 224.
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I. Salvagni, Da Universitas ad Academia. La corporazione dei pittori nella chiesa di San Luca a Roma, Roma 2012, pp. 227-235.
Die Sixtinische Madonna Raffaels Kultbild wird 500, catalogo della mostra (Dresda 2012), a cura di A. Henning, Monaco 2012, cat 4, p. 166.
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M. Pupillo, Scipione Pulzone e Federico Zuccari in conflitto: ampliamenti e revisioni, in Scipione Pulzone e il suo tempo, a cura di A. Zuccari, Roma 2015, pp. 69-86: 71-76.
S. Ventra, San Luca dipinge la Vergine di Antiveduto Grammatica: una copia a presidio d’integrità per l’immagine simbolo dell’Accademia di San Luca, in Storia dell’arte come impegno civile, a cura di A. Cipriani, V. Curzi, P. Picardi, Roma 2014, pp. 191-198.
S. Ventra, Il San Luca "di Raffaello": vicende e restauri tra Cinquecento e Novecento, in «Ricerche di storia dell’arte», 116/117, 2015, pp. 170-183.
M. Cardinali, Sotto la superficie di un’icona: ricerche tecniche su San Luca che dipinge la Vergine, in «Accademia Nazionale di San Luca. Annali delle Arti e degli Archivi», 1, 2015, pp. 133-144.
M.B. De Ruggieri, Il San Luca che dipinge la Vergine: veti e compatibilità con la tecnica di Raffaello e della sua bottega, in «Accademia Nazionale di San Luca. Annali delle Arti e degli Archivi», 1, 2015, pp. 145-154.
Raffaello. L’Accademia di San Luca e il mito dell’Urbinate, catalogo della mostra (Roma 2019-2020), a cura di F. Moschini, V. Rotili, S. Ventra, Roma 2020 (S. Ventra, cat. 1, pp. 31-35).

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